martedì 22 febbraio 2011

Divaghiamo....

CHE DIRE... OGGI MI SONO MESSA AD ASCOLTARE QUESTA CANZONE E HO PENSATO CHE FOSSE ADATTA PER UN GIRO IN MACCHINA SENZA META...



La mia città

La mia città, senza pietà, la mia città
ma come è dolce certe sere
a volte no, senza pietà
mi chiude in una stanza mi fa sentire solo

Una città, senza pietà, la mia città
non la conosco mai fino in fondo
troppi portoni, troppi cassetti
io non ti trovo mai tu dimmi dove sei

Adesso dove si va, cosa si fa, dove si va
siamo sempre dentro a qualcosa
un'auto che va o dentro un tram
senza mai vedere il cielo e respirando smog

ma guarda là, che cazzo fa, ma pensa te
ma come guida quel deficiente
poi guarda qua, che ora e' già
ma chi ti ha dato la patente che ti scoppiasse un dente
a te

siamo sempre di corsa sempre in agitazione
anche te?che anche se lecchi il gelato
c'hai lo sguardo incazzato

la mia città, senza pietà, la mia città
ma come è bella la mattina
quando si sveglia, quando si accende,
e ricominciano i rumori promette tante cose

Ma dimmi?dove sarà, prima era qua
c'è un nero che chiede aiuto
dove sarà questa città
E' sparita senza pietà c'ha troppi muri la mia città

ma guarda che civiltà la mia città
con mille sbarre alle finestre
porte blindate, guardie giurate,
e un miliardo di antifurti che stanno sempre a suonare?perché?

c'è chi ha troppo di meno e chi non si accontenta
e c'è chi si deve bucare in un angolo di dolore
e c'è che c'è bisogno di un trucco c'è bisogno di tutto

senza pietà, la mia città
"Signora guardi che belle case
però a lei no, non gliela do
mi dispiace signora mia è tutto uso foresteria"

una città la mia città, senza pietà
ti dice che non è vero
che non c'è più la povertà
perché è tutta coperta dalla pubblicità

c'è chi a lavorare è obbligato a imbrogliare
e c'è chi per poterti fregare ha imparato a studiare
e c'è che c'è bisogno di tutto c'è bisogno di un trucco
e c'è bisogno di più amore dentro a questa prigione

Testi di Luca Carboni

martedì 15 febbraio 2011

Sarebbe troppo bello...


Sarebbe troppo bello potersi svegliare all'indomani della manifestazione del 13 febbraio e pensare che forse qualcosa di positivo è stato fatto. Ecco, continuiamo a sperare, perchè a guardare i notiziari sembra che nulla sia accaduto, che si continui, insomma, sulla stessa linea del "chi se ne frega".

Perchè quelle simpaticone della Belen e della Canalis sembrano proprio cadere dalle nuvole quando in conferenza stampa a Sanremo dichiarano l'una di non aver proprio capito niente e l'altra che non c'è bisogno di manifestazioni di questo genere. Eh sì, tutto ciò non può che riempirci di orgoglio e fiducia...

Ma poi abbiamo anche il piacere di sapere che, secondo la legge italiana, le donne che si affidano alla fecondazione assistita dovrebbero essere trattate alla stregua di delinquenti internazionali. Sì, perchè in Italia pare opportuno che queste donne vengano schedate con i loro piccoli in modo tale da essere "tracciate" dagli organi competenti.

E infine che dire di Luca Delfino, l'uomo che aveva già ucciso una sua ex ed era considerato fino a poco tempo fa l'esecutore materiale dell'omicidio di Luciana Biggi, assolto per non aver commesso il fatto.
Già già, e poi in TV ci propinano il fatto di denunciare le violenze, di non renderci complici dei nostri carnefici...

La sensazione è che si continui ad essere inascoltate, della serie:" Ma quanto siete belle, fantastiche,coraggiose, meravigliose...ma potreste stare un pò zitte?"
Perchè la logica è proprio questa. Guai ad avere donne pensanti, con un'opinione ben precisa in testa. Donne, ascoltate! Siate sagge! Non esprimete opinioni, non siate nè carne nè pesce, continuate a seguire la moda, a fare le diete, a rifarvi le tette,magari se anche avete un pensiero sappiate nasconderlo bene, anzi non abbiate pensieri...le nostre Belen ed Elisabetta insegnano...

Il silenzio dei padri per le notti di Arcore

 


MI PERMETTO DI INSERIRE UN CONTRIBUTO UTILE CHE SPERO CREI SPUNTI DI RIFLESSIONE....CI TENGO A PRECISARE CHE QUESTO DOCUMENTO MI E' STATO INOLTRATO DA UNA CARA AMICA....

Il silenzio dei padri per le notti di Arcore

Non solo il cavaliere, non solo le ragazzine, non solo le maitresse e gli adulatori, non solo gli amici travestiti da maggiordomi, le procacciatrici di sesso, i dischi di Apicella e la lap dance in cantina: in questa storia da basso impero ci sono anche i padri. E sono l’evocazione più sfrontata, più malinconica di cosa sia rimasto dell’Italia ai tempi di Berlusconi. I padri che amministrano le figlie, che le introducono alla corte del drago, le istruiscono, le accompagnano all’imbocco della notte. I padri che chiedono meticoloso conto e ragione delle loro performance, che si lagnano perché la nomination del Berlusca le ha escluse, che chiedono a quelle loro figlie di non sfigurare, di impegnarsi di più a letto, di meritarsi i favori del vecchio sultano. I padri un po’ prosseneti, un po’ procuratori che smanacciano la vita di quelle ragazze come se fossero biglietti della lotteria e si aggrappano alle fregole del capo del governo come si farebbe con la leva di una slot machine… Insomma questi padri ci sono, esistono, li abbiamo sentiti sospirare in attesa del verdetto, abbiamo letto nei verbali delle intercettazioni i loro pensieri, li abbiamo sentiti ragionare di arricchimenti e di case e di esistenze cambiate in cambio di una sveltina delle loro figlie con un uomo di settantaquattro anni: sono loro, più del drago, più delle sue ancelle, i veri sconfitti di questa storia. Perché con loro, con i padri, viene meno l’ultimo tassello di italianissima normalità, con loro tutto assume definitivamente un prezzo, una convenienza, un’opportunità.
Ecco perché accanto ai dieci milioni di firme contro Berlusconi andrebbero raccolti altri dieci milioni di firme contro noi italiani. Quelle notti ad Arcore sono lo specchio del paese. Di ragazzine invecchiate in fretta e di padri ottusi e contenti. Convinti che per le loro figlie, grande fratello o grande bordello, l’importante sia essere scelte, essere annusate, essere comprate. Dici: colpa della periferia, della televisione, della povertà che pesa come un cilicio, della ricchezza di pochi che offende come uno sputo e autorizza pensieri impuri. Balle. Bernardo Viola, voi non vi ricordate chi sia stato. Ve lo racconto io. Era il padre di Franca Viola, la ragazzina di diciassette anni di Alcamo che, a metà degli anni sessanta, fu rapita per ordine del suo corteggiatore respinto, tenuta prigioniera per una settimana in un casolare di campagna e a lungo violentata. Era un preludio alle nozze, nell’Italia e nel codice penale di quei tempi. Se ti piaceva una ragazza, e tu a quella ragazza non piacevi, avevi due strade: o ti rassegnavi o te la prendevi. La sequestravi, la stupravi, la sposavi. Secondo le leggi dell’epoca, il matrimonio sanava ogni reato: era l’amore che trionfava, era il senso buono della famiglia e pazienza se per arrivarci dovevi passare sul corpo e sulla dignità di una donna.
A Franca Viola fu riservato lo stesso trattamento. Lui, Filippo Melodia, un picciotto di paese, ricco e figlio di gente dal cognome pesante, aveva offerto in dote a Franca la spider, la terra e il rispetto degli amici. Tutto quello che una ragazza di paese poteva desiderare da un uomo e da un matrimonio nella Sicilia degli anni sessanta. E quando Franca gli disse di no, lui se l’andò a prendere, com’era costume dei tempi. Solo che Franca gli disse di no anche dopo, glielo disse quando fece arrestare lui e i suoi amici, glielo urlò il giorno della sentenza, quando Filippo si sentì condannare a dodici anni di galera.
Il costume morale e sessuale dell’Italia cominciò a cambiare quel giorno, cambiò anche il codice penale, venne cancellato il diritto di rapire e violentare all’ombra di un matrimonio riparatore. Fu per il coraggio di quella ragazzina siciliana. E per suo padre: Bernardo, appunto. Un contadino semianalfabeta, cresciuto a pane e fame zappando la terra degli altri. Gli tagliarono gli alberi, gli ammazzarono le bestie, gli tolsero il lavoro: convinci tua figlia a sposarsi, gli fecero sapere. E lui invece la convinse a tener duro, a denunziare, a pretendere il rispetto della verità. Tu gli metti una mano e io gliene metto altre cento, disse Bernardo a sua figlia Franca. Atto d’amore, più che di coraggio. Era povero, Bernardo, più povero dei padri di alcune squinzie di Arcore, quelli che s’informano se le loro figlie sono state prescelte per il letto del drago. Ma forse era solo un’altra Italia.
Claudio Fava – 24 gennaio 2011

lunedì 7 febbraio 2011

Se Non Ora Quando.mov




Questo è lo slogan riferito alla manifestazione che si terrà il 13 febbraio in tutte le città italiane. Per poter partecipare, basta inviare una mail a: mobilitazione.nazionale.donne@gmail.com
e lasciare nome e cognome.
Questa mobilitazione non riguarda solo gli "affari" di Berlusconi, ma si interroga soprattutto sul ruolo delle donne in questo frangente epocale.
Siamo tutte diverse, con diverse aspirazioni, diversi obiettivi, eppure non possiamo smettere di credere in noi stesse come esseri individuali e distinti dagli uomini, mai da loro dipendenti. Se anche alcune di noi non parteciperanno, credo sia importante dedicare questa giornata almeno a questo pensiero...

http://senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com/